La Emaprice vuole scavare un bacino di laminazione da un milione di metri cubi La Val Grande, a Curogna, è uno dei luoghi naturali più incontaminati del Veneto.
Adesso li chiamano bacini di laminazione, ma sono semplicemente delle cave: buone per estrarre materiali pregiati da mettere sul mercato, salvo poi dimenticarsi del ripristino ambientale (la Valcavasia ne è visibile testimonianza). Il tentativo più maldestro accade a Curogna, a duecento metri sul livello del mare, un piccolo borgo incastonato tra le colline asolane, il Piave e il massiccio del Grappa. In Val Grande, accanto alle ex Fornaci Tomasi da cui, si narra, uscirono i mattoni per il ponte del Tronchetto a Venezia. Il Comune di Pederobba lancia, nel 2014, un bando per la messa in sicurezza idraulica del torrente Curogna.
Quale alluvione vi era mai stata? Nessuna. Ma nel novembre 2012 uno scantinato, costruito in zona d’alveo, era stato invaso dall’acqua provocando danni a una famiglia. Un problema risolto con un modesto intervento di arginatura.
Né prima né dopo quell’episodio si sono mai registrati danni ad abitazioni. All’appalto partecipa una sola azienda, la Emaprice di Christian Daniele, erede del gruppo Settentrionale Trasporti di Possagno, che propone di realizzare un bacino di laminazione da 51 mila metri quadrati movimentando un’area grande tre volte tanto, pari a 30 campi da calcio. Un fronte lungo settecento metri, largo quasi trecento e profondo mediamente dieci. Vi si prevede l’estrazione di 798 mila metri cubi di argilla, che a prezzi di mercato può valere tra i due e i tre milioni di euro.
Uno scavo enorme per uno scantinato allagato. La risposta sta nel business economico che l’intervento genera: l’argilla, per le sue caratteristiche di impermeabilità, è usata nei sottofondi di discariche e molto richiesta dalla vicina Svizzera. In appena tre mesi il progetto è approvato, ma la Regione ha imposto la procedura Via ed ora è in attesa del parere della commissione cave della Provincia, che dovrebbe esprimersi in questi giorni. Proprietario – o comunque con titoli di possesso – delle aree interessate al progetto della cava di argilla Val Grande è la stessa Emaprice, i cui intrecci con la Cementi Rossi appaiono evidenti.
Non si arrendono i comitati ambientalisti di Pederobba, con Claudio De Lucchi, Luciana Fastro, Daniela Pastega, Maurizio Mennella, Emilio Alba: «Un progetto assurdo, che cambierà radicalmente il paesaggio e l’ecosistema locale». La biologa Katia Zanatta ha studiato le specie vegetali presenti in Val Grande registrando la presenza di prati stabili umidi con più di 35 diverse varietà definendolo «di elevato valore naturalistico».
Il naturalista Giovanni Morao ha recuperato le specie animali presenti: dal coleottero europeo «Cervo volante» alla «Rana di Latasta», specie in via di estinzione, sino all’Ululone dal ventre giallo, rospo di piccole dimensioni molto raro. E poi la presenza della falda acquifera superficiale, in quello che è uno dei più grandi serbatoi idrici d’Europa, quello del massiccio del Grappa. Insomma, possono ragioni economiche prevalere sulla tutela del paesaggio, in un territorio che conta già cinque cave attive, nessuna delle quali ancora ripristinata del tutto?