L’ultimo consiglio è per i giovani: «Quando entrate in un’azienda non chiedete mai: quanti soldi mi date? Domandate piuttosto: cosa mi potete insegnare? E voi stessi chiedetevi: cosa posso dare io a quest’azienda?».
Renzo Tonello è l’ultimo sarto, ma con l’entusiasmo di un bambino. Anzi, di un sarto bambino. Così infatti («Il sarto bambino») si intitola il libro che ha voluto consegnare al futuro e che sarà presentato venerdì sera alle 20,30 alla Libreria Zanetti di Montebelluna. Un libro che riavvolge il rocchetto della vita professionale e umana di quest’uomo che a 81 anni ha voluto guardarsi indietro ed aprire l’armadio dei ricordi. Con la speranza che qualcuno assorba i vecchi valori che declina così: umiltà, impegno, dedizione, onestà .
Tonello è una piccola azienda che si ostina a realizzare capi sartoriali, disegnati e realizzati in casa, difendendo come un fortino il «made in Italy». Dal piccolo stabilimento tessile di Crocetta, una rarità di questi tempi, escono giacche e vestiti che hanno cucito addosso in passato i marchi Trussardi, Armani, Enrico Coveri, Dolce e Gabbana, Boggi. Oggi l’azienda produce soprattutto con il proprio marchio: Tonello. Un nome che agli appassionati restituisce il sapore di un capo sartoriale di qualità, impreziosito con dettagli e materiali di pregio, in un settore dominato dalle produzioni cinesi. «Il futuro? Probabilmente è nei capi su misura» riflette a voce alta.
Nasce a Caerano, dove all’epoca c’era l’Osteria del vin bon (oggi la trattoria Da Ciccio), figlio di un falegname e di un’ostessa. Primo di tre fratelli maschi, è convinto da una zia all’arte della sartoria: «Ceo, ricordate che in paese le persone che conta xe el sindaco, el prete, el casoin, el barbier e el sartor».
Così a nove anni apprende da Alessandro Luison i primi rudimenti, fino a confezionare da solo un vestito da uomo: una sua fotografia lo immortala orgoglioso, fasciato dentro al completo grigio appena realizzato con le sue mani.
Fa il garzone di bottega per sei anni, imparando il mestiere per poi approdare a quella che sta per diventare la Fiat del paese: quella SanRemo che lo vede tra i primi 18 dipendenti e nella quale resterà fino al 1973, quando gli occupati erano cinquemilasettecento. Assunto da operaio, ne uscirà capofabbrica con un’esperienza lunga così di organizzazione aziendale, gestione del personale, processi produttivi. «La SanRemo è stata una scuola, anzi una università – racconta Tonello – non solo per me, ma per molti diventati poi imprenditori». Curiosamente, proprio in SanRemo ritroverà, come operaio, quel sarto da cui aveva imparato il mestiere.
Dopo vent’anni di SanRemo, Tonello si dedica all’attività di direttore di produzione e risanatore di aziende in difficoltà: dieci anni alla Belvest di Piazzola sul Brenta, poi una breve parentesi alla Nervesa Moda Uomo, quindi un periodo in Gran Bretagna alla Chester Barrie, alla ex Geconf di Castelfranco e infine cinque anni da Isaia a Napoli. Per lui basta un’occhiata alla distesa di macchine da cucire e alla suddivisione delle mansioni per intuire cosa c’è che non va. Introduce tra i primi i tempi e metodi, stringe accordi e contratti legandoli ai risultati. Non sempre ha vita facile, ma si costruisce un prestigio. «Da consulente viaggiavo in quegli anni a un milione di lire al giorno» rivela.
Nel 1990, all’età di 53 anni, la svolta umana e professionale: coglie la pensione da dipendente e inventa la Joyce, rilevando il laboratorio Lucchese di Biadene. Da “sotto paron” a “paron”, anche grazie a un amico finanziatore, mettendo a frutto l’esperienza maturata in quarant’anni di lavoro. Un salto nel vuoto giusto nel momento in cui l’industria tessile italiana sta per subire la crisi della concorrenza cinese. Ma Tonello nuota, bracciata dopo bracciata, e resiste nel mare. Le giacche per Armani, Dolce e Gabbana, Coveri, Boggi: la piccola Joyce diventa un punto di riferimento importante per i capi sartoriali italiani, arriva fino a 40 mila capi l’anno e 47 addetti.
L’anno scorso, al compimento degli ottant’anni, il passaggio dell’azienda al figlio
Claudio, che nel frattempo – nel 2001 – ha fondato la Tonello, un’azienda giovane che realizza gli abiti per Aurora Ramazzotti, Claudio Bisio, Stefano Bollani, Sami Khedira, Morgan. Se buon sangue non mente, il tessile italiano ha ancora un futuro.
Daniele Ferrazza