Marcello Agnoletto compie oggi ottant’anni. Inconfondibile il suo passo leggero: talloni verso l’interno e punte divaricate. Sembra accarezzare il pavé del centro storico di Asolo come fosse l’erba degli stadi che lo hanno conosciuto campione negli Anni Cinquanta. Perché Agnoletto, nato a Montebelluna, cresciuto nel Padova (dal 1952 al 1955 e poi ancora nel 1960-61), esploso nella Sampdoria (stagione 1956-57) e nel Vicenza (dal 1957 al 1960), ha disputato sei campionati di serie A e quattro stagioni in serie B (di cui due conclusasi con la promozione nella massima serie). Soprattutto, è stata una delle mezzale più temibili degli Anni Cinquanta. Bravissimo ad incunearsi nelle fasce, portarsi dietro le difese e poi servire alle punte splendide occasioni da rete. Nel più straordinario sbigottimento degli avversari: “capace di sconder la bala sotto un ciuffo d’erba” descrivono le cronache di quegli anni. E ancora: “Se il giuoco del calcio non fosse già stato inventato, bisognerebbe inventarlo di corsa, per dare a Agnoletto qualche cosa con cui giocare”. Insomma, un artista del pallone, il più sudamericano dei calciatori italiani dell’epoca.
«Eh sì, bei tempi. Anche perché eravamo tutti più giovani» si schermisce oggi mentre si appresta a festeggiare circondato dagli amici di sempre. «Adesso il calcio è completamente diverso: io ho avuto la straordinaria opportunità di giocare per allenatori del calibro di Pietro Rava, Nereo Rocco, Lajos Czeizler, Roberto Lerici. Sono stati anni di grande fatica ma anche di grande gioco». Contro di lui sono scesi in campo gente del calibro di Gianpietro Boniperti, Cesare Maldini, Josè Altafini, Nils Liedholm. Alla Sampdoria era compagno di squadra di Azeglio Vicini. E qualche soddisfazione se l’è pure potuta prendere: prima con la maglia del Grande Padova, poi con quella del Lanerossi Vicenza “ammazzagrandi” batte la Juventus, l’Inter e pure il Milan (il famoso quattro a uno all’Appiani, 12 febbraio 1961).
«Nereo Rocco mi voleva un gran bene: era un omaccione grande, solo in apparenza burbero. In realtà, era capace di gesti di grande umanità – racconta Marcello Agnoletto -. Con noi parlava in triestino. ‘Agnòa, passa quela bala. Toco de mona!’ mi sembra ancora di sentirlo. Quando conquistammo la promozione in serie A, nel 1954-55 con Maté, Zorzin, Scagnellato, Bonistalli, Stivanello, venne ad abbracciarci ad uno ad uno». «All’epoca – aggiunge – eravamo riconosciuti come professionisti del pallone, certamente: il mio stipendio era di ottantamila lire al mese, una discreta somma» aggiunge. C’è stato un momento in cui le sue quotazioni erano tra le più alte del mercato: 50 milioni di lire fu valutato il suo passaggio dal Padova alla Sampdoria, nell’estate del 1956. Più di Cesare Maldini (30), il triplo di Nordhal (15).
Nella quiete della sua casa asolana, che guarda al vecchio campo sportivo abbandonato, Marcello Agnoletto cura il giardino e segue il calcio di oggi: in questo periodo, ad esempio, plaude all’Udinese di Francesco Guidolin. Poi pensa agli ottanta: «Sì, ho…tanta voglia di giocare» e fa scivolare lo sguardo verso il campo.
(Pubblicato sulla tribuna di treviso del 2 gennaio 2012)