Alle porte della città, incompiuta metropoli, con in testa il ritornello che da generazioni insegue i veneti: «Veneziani gran signori, padovani gran dottori, vicentini magna gati, veronesi tutti mati».
È incredibile come attraverso questa strada si percorra la storia del Veneto antico e moderno: da Dante Alighieri alla Diesel di Renzo Rosso, dalla Cappella di Giotto al terzo aeroporto d’Italia. Un Veneto schiacciato tra il glorioso passato e un futuro tutto da scrivere, una regione consapevolmente prigioniera del suo policentrismo, delle sue cronache provinciali, dei suoi confini immaginari eppure indistruttibili. Con personaggi che si trovano più a loro agio a New York che nel paese accanto, dove sono considerati “foresti”. Industriali con l’aereo parcheggiato sotto l’hangar dell’aeroporto ma che la domenica non mancano mai la partita a carte con gli amici d’infanzia, al bar del paese.
Una volta c’era il pretesto delle strade: adesso si percorre l’autostrada da Verona a Venezia in un’ora e mezza e quella da Mestre a Belluno in meno di un’ora. Forse allora tra le cose che mancano a questo Veneto, non più Nordest d’Italia ma crocevia d’Europa, è il racconto, la narrazione, gli interpreti.
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