SEGUSINO. «Lassa perdar l’America, resta qua a far ociai» disse guardando il biglietto aereo per il Canada che il figlio teneva in mano. Trent’anni dopo, grazie a quella materna intuizione, Stefano Curto ottiene un’inattesa consacrazione nel mondo dell’arte contemporanea.
A margine dell’apertura, ieri sera a Londra, della mostra «Stardust», polvere di stelle, l’artista di Segusino conferma di aver firmato un contratto triennale di esclusiva (con opzione per un ulteriore triennio) con una delle più importanti gallerie d’arte londinesi, la Halcyon di New Bond Street. Per rendere l’idea, i suoi spazi hanno visto recentemente esporre gente del calibro di Bob Dylan, Mauro Perucchetti, Santiago Montoya, Dale Chihulym, Wu Ching Ju. Una galleria che si trova nel cuore artistico della capitale britannica, tra la sede di Sotheby’s e la boutique di Anna Fontaine e delle grandi griffe della moda.
«Ci ho riflettuto molto, moltissimo – ammette Stefano Curto –: firmare con una galleria, per quanto importante, significa legarsi ad essa e stabilire un percorso insieme. Ho deciso che questo era il momento».
Nato nel 1966, Curto è conosciuto soprattutto per l’uso dei cristalli nelle sue opere e installazioni, che ne richiedono a migliaia, ci sono opere che impiegano fino a sessantamila frammenti: «Sono affascinato dalla luce – spiega lui da Londra – l’emozione che trasmette nelle mie opere è straordinaria, restituisce fiducia, speranza, futuro». «Nel momento stesso in cui ha avuto tra le mani quei cristalli – aggiunge Curto descrivendo il suo percorso – ho saputo che vi sarei rimasto legato per sempre. Un’attrazione fulminante. Non riuscivo a smettere di muovere le mani sotto ogni luce ed osservare quei frammenti che sembravano vivere di luce propria. Riflettevano ogni umore dello spazio circostante, ogni colore, ogni ombra».
Tra le sue opere più conosciute la “Sindone Nera”, donata a Papa Francesco nel 2013, “Il Nero Infinito”, “L’oro malato”, “Il tappeto volante”. Curiosa è l’evoluzione di Curto, nato a Segusino, diplomato all’Ipsia, un futuro tracciato nel distretto dell’occhialeria del Basso Feltrino. Sottratto al sogno americano dall’amore materno, è rimasto a fare gli strass sugli occhiali: «Con i cristalli ho imparato a impreziosire le montature: prima per la Filos, poi per i marchi della moda – racconta – ho dato valore a quella creazione che inizialmente le occhialerie affidavano ai contoterzisti. In pochi anni sono venuti tutti a cercarmi: Dior, Versace e tutti gli altri».
Ma il debutto vero nel mondo dell’arte è recente, recentissimo: espone a Venezia nel 2011 alla Scoletta dei Tiraoro e Battioro, timido test che ha restituito certezze. La strada era giusta e quei cristalli potevano essere il passepartout per il mondo dell’arte contemporanea. Un crescendo di apprezzamenti: le sue opere finiscono al Museum of Old and New Art australiano, alla Biennale di Venezia, nelle principali gallerie del mondo. E adesso, l’esclusiva con la galleria londinese, con un prevedibile balzo nelle sue quotazioni.
Nella personale «Stardust» ci sono diciannove opere, capaci di esprimere tutta la luce del mondo: ma a luccicare di più, ieri sera a Londra, erano gli occhi di Stefano che guardavano i genitori Giuseppe, 91 anni, e la madre Orsola Coppe, 83 anni, che hanno preso l’aereo per assistere alla consacrazione artistica del figlio.