Può l’Europa delle merci e delle persone, alla vigilia della ripresa post pandemia, nel cuore di una delle regioni più industrializzate del mondo, fermarsi a Cessalto?
È esattamente ciò che sta accadendo nell’imbuto dell’autostrada A4, nel tratto veneto tra San Donà di Piave e Portogruaro, dove manca la Terza corsia, e dove quasi ogni giorno si registrano incidenti, vittime, ritardi e disagi alla circolazione. Un canale di Suez su gomma dove basta la distrazione di un automobilista o di un camionista per fermare l’economia europea per mezza giornata.
L’ennesima conferma ieri mattina: un tamponamento con tre autoarticolati, un autista bosniaco gravissimo in ospedale, quattro ore di stop dell’autostrada e altrettante d’inferno nella viabilità ordinaria dove resiste la mussoliniana Triestina. Perchè strade nuove, da allora, non ne sono state più fatte. E l’autostrada stessa, in quel tratto, risale al 1970: mezzo secolo fa.
Soluzioni? Completare la terza corsia nell’ultimo tratto rimasto, 27 chilometri tra il casello di Noventa di Piave e quello di Portogruaro.
Dall’inizio dell’anno, quattro vittime e tredici incidenti gravi che hanno provocato la chiusura del traffico autostradale, con gravi danni e ripercussioni sull’economia dei trasporti. Perchè questa autostrada è la porta dell’Europa dell’Est sull’Italia, il varco dove passano circa 47 milioni di veicoli l’anno, 95 mila veicoli leggeri e 36 mila mezzi pesanti al giorno (comprendendo anche l’A23 di Tarvisio, la A28 di Pordenone e la A34 di Gorizia, tratti infinitamente meno rilevanti).
Finora Autovie Venete, il concessionario dalla concessione scaduta dal 2017 e in regime di prorogatio, ha investito circa seicento milioni di euro per realizzare gli altri tratti (il primo lotto tra Quarto d’Altino e San Donà, il terzo tra Alvisopoli e Gonars, il quarto tra Gonars e Villesse). Altri 151 milioni li ha messi il governo nel 2013. Poi, più niente.
L’ultimo tratto rimasto da progettare e realizzare è, appunto, quello venezian-trevigiano tra San Donà e Portogruaro: 27 chilometri. Costo previsto: 440 milioni di euro. «L’avvio della realizzazione – spiegano ad Autovie Venete – deve necessariamente scontare la verifica sulla reale e concreta copertura finanziaria che potrebbe trovare risposta nell’ipotesi che intervengano finanziamenti pubblici attraverso i fondi europei per il rilancio dell’economia tali da finanziarne la loro realizzabilità». Fuor di metafora: non c’è un euro. Tanto è vero che la società autostradale parla del 2026 come possibile data di completamento, se si palesassero le risorse che non ci sono.
Nei giorni scorsi, a margine dell’assemblea di Autovie Venete per l’approvazione del bilancio, il presidente Maurizio Paniz ha spiegato: «Si ritiene che il Commissario per l’emergenza della A4 possa dare a breve l’impulso alla realizzazione dei cavalcavia avviando l’iter per l’affidamento dei lavori». Insomma, buio pesto.
Insorgono le associazioni di categoria, soprattutto del Veneto orientale, mentre il completamento di questa infrastruttura non sembra in cima ai pensieri di parlamentari e ministri veneti.
Ad attorcigliare la vicenda si aggiunge il complicato passaggio di consegne tra Autovie Venete, controllata al 75% dalle regioni Friuli e Veneto (e con una trentina di soci privati) e la nuova concessionaria cui il governo intende affidare la gestione dell’A4, costituita con il nome di Società Autostrade Alto Adriatico. Un escamotage per evitare gli appetiti stranieri sulle nostre autostrade e consentire una concessione lunga alle due regioni. Ma all’appello mancano ancora l’approvazione del Piano finanziario, il passaggio al Cipe e la quantificazione del valore di indennizzo della società. Così, tutto è italianamente lento, lentissimo, quasi fermo: esattamente come il traffico nell’imbuto di San Stino di Livenza quando si verifica un incidente. L’Europa si ferma a Cessalto. Per colpa dell’Italia. — (Nuova Venezia, 5 maggio 2021) |
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