La vestaglia celeste da ospedale, le pantofole da casa, la borsa frigo nella mano. La nonnina di Venezia è partita così, giovedì scorso, per la spiaggia del Lido veneziano: «Devo andare al mare con le amiche, le sto aspettando qui» ha spiegato accennando un sorriso divertito.
Qualcuno è passato dritto, qualcun altro si è fermato a chiedere, un’altra ancora infine ha chiamato il 113. E una pattuglia della Polizia di Stato si è accostata, discreta. L’agente Marta è scesa, ha salutato, ha compreso. E ha prestato il braccio all’anziana, prendendo gentilmente la borsa frigo. Le due donne si sono così incamminate lentamente lungo il marciapiede, come una figlia che accompagna la madre verso casa, mentre il collega di pattuglia recuperava l’indirizzo della nonnina.
Così le immortala, di spalle, l’immagine che restituisce oggi un po’ di umanità a tutti, in questo tempo sospeso di distanziamento sociale, di relazioni in pausa, di città svuotate e di persone sconfortate e senza una prospettiva.
La foto della nonnina del Lido è finita qualche giorno fa sul portale friendly della Polizia di Stato, «Agente Lisa», descrivendo questo piccolo intervento che non aveva bisogno di verbali.
L’ha rilanciata ieri mattina nei canali social il presidente del Veneto, Luca Zaia, suscitando un’onda emotiva non comune: «Grazie di cuore a Marta e a tutti gli insostituibili uomini e donne delle nostre forze dell’ordine, vicini ogni giorno ai cittadini».
L’istantanea dell’agente che accompagna a casa la signora dalla mente smarrita parla a tutti. Ci aiuta a non smarrirci, a nostra volta. Ma va guardata appena oltre quella apparente superficialità di elogio alle forze dell’ordine. E’ qualcosa di più. Perché, certo, lo scatto riconosce il prezioso e spesso sottovalutato lavoro di prossimità degli agenti che si occupano della nostra sicurezza. Ma soprattutto, a parer nostro, mostra in tutta la sua devastante potenza una delle molte malattie che la pandemia ha offuscato. Quella che sbiadisce fino a cancellare i ricordi, strappando a morsi la persona, svuotandola giorno dopo giorno in una apparente normalità. Si chiama Alzheimer e solo chi l’ha provato in casa ne conosce gli effetti deflagranti.
La normalità perduta della nonnina di Venezia era quella di aprire le finestre, vedere una bella giornata di sole, preparare con cura la borsa frigo, infilarci la bottiglia d’acqua, un paio di frutti, qualche biscotto e uscire sul marciapiede ad aspettare le amiche, con cui avrebbe trascorso una mezza giornata tra chiacchiere e racconti.
Gesti ripetuti centinaia di volte ma perduti ormai nel gorgo della malattia ancora senza cura e che in Italia colpisce circa seicentomila persone, nel Veneto non meno di sessantamila.
Per questo l’istantanea del Lido di Venezia non è solo il nobile gesto di un’agente di Polizia. È la conferma di una comunità silenziosa che esiste, si accorge che qualcuno sta male e chiama. Una comunità che non fa pettegolezzi, ma si prende cura. Accende una luce sulla demenza, malattia che spegne la mente come la fiammella la cera di una candela. In fondo, è una grande foto d’amore. —
18 marzo 2021 |