Un importante direttore poche settimane davanti a una platea di professionisti ha invocato proprio questo sostantivo quale linea guida del nostro lavoro.
Molte persone mi hanno chiesto, in queste ore, che cosa pensassi del clamore attorno alla malattia di Sergio Marchionne. Ecco perché uso questo termine: rispetto.
Un uomo certamente dal profilo pubblico, con grandissime responsabilità sociali ed economiche poiché a capo di una comunità industriale tra più grandi del mondo.
Come tale, le sue condizioni di salute hanno un rilievo pubblico.
Tuttavia penso che la situazione sia sfuggita di mano a tutti e che, come accade in questi casi, sia nata una corsa a raccontarla più grossa. Colpa anche (ma non solo) del clima da “tutti sappiamo tutto” di questo tempo.
Con poco rispetto della persona (che non può difendersi) e con una esagerazione mediatica dai pochi eguali.
Tutti i più grandi giornalisti italiani si sono cimentati nella ricostruzione del proprio rapporto personale con il manager, dimostrando l’ansia di raccontare il proprio “Io l’ho conosciuto bene”.
Tra questi un patetico Massimo Gramellini che addirittura descrive una cena di gamberoni con Marchionne che mangia sul piatto degli altri mentre lui (Gramellini) risponde al telefono. Ce lo vedete?
Poche, pochissime le analisi sullo scenario industriale di Fca nel dopo Marchionne: tra queste salvo quella di Giuseppe Berta sul Sole 24 ore. E il punto di vista di un sindacato, espresso da Marco Bentivogli sullo stesso giornale.
Molte, moltissime le articolesse sulla malattia, il peggioramento, lo stadio “in fin di vita” (che brutta espressione…). Decine di inviati fuori dalla clinica di Zurigo.
E poi una lunga serie di giudizi, superlativi o negativi, sul buono o cattivo manager che è stato. Con analisi prevalentemente superficiali e strampalate e relative zuffe sul web.
Ho trovato tutto questo una pagina amara del giornalismo italiano e del pubblico italiano (prima si poteva dire che i media hanno il potere di indirizzare l’opinione pubblica, oggi è piuttosto giusto chiedersi: chi conduce chi?). E forse una lezione per il futuro.
Un necrologio anticipato fuori scala (cosa e quanto scriveremo quando morirà, dacché abbiamo già scritto tutto?). Per quanti giorni potranno andare avanti cronache e commenti così copiosi?
Certo, non era semplice gestire una comunicazione di tal peso. Quando doveva essere comunicata la malattia, in quale modo, con quali strumenti?
Decisamente una scelta non facile per i responsabili della comunicazione di Fca, che hanno preferito quella più tardiva possibile a ridosso del Cda che ha nominato i successori.
Nell’epoca del digitale tutti hanno eguale accesso alle informazioni: quando le notizie hanno iniziato a circolare in alcuni siti specializzati forse era troppo tardi per elaborare una strategia (il primo a parlare di malattia è stato Paolo Madron e la sua Lettera43, il 5 luglio scorso).
Due le considerazioni che lascio in queste righe.
La prima è rivolta al mio mondo: i giornalisti hanno grandi responsabilità nel trasmettere le notizie, non mi disturba arrivare qualche minuto dopo se ne ricavo sobrietà e precisione. E penso che i lettori più attenti siano disposti a pagare il ritardo se in cambio vi è qualità e autorevolezza.
La seconda: il pubblico generalista, in larga parte quello che usa i social come un’osteria di quart’ordine, abbia il pudore di pensare che tutto ciò che scrive ha un valore universale, pubblico, aperto. Si comporti come stare a tavola in casa d’altri. E qualche volta stia zitto, che male non fa.
Ora spero davvero che il clamore attorno al destino umano di Sergio Marchionne si attenui, così come l’attenzione della stampa. Ci sarà tempo e modo per giudicare il suo lavoro e la sua carriera. In questo momento non è più l’importante manager che abbiamo conosciuto ma solo un uomo che sta affrontando la sua battaglia più difficile. (23 luglio 2018)